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PERIEGHESIS. VIAGGIO NELLA STORIA DEL PAESAGGIO AGRARIO DEL TARANTINO

LE SALINE

PAROLE CHIAVE: Immagni, rural landscape history, storia paesaggio agrario, bonifiche, aree verdi, zone umide, Magna Grecia, Medioevo, flora, feudalesimo, demani, paludi, saline, cotone, Taranto, Puglia Italia Meridionale, edilizia rurale, sale

Il sale rivestiva nella vita quotidiana della società preindustriale un ruolo di primaria importanza, tanto da essere considerato una delle maggiori ricchezze di cui potesse disporre una nazione. Il controllo della produzione e della commercializzazione di questa merce ha da sempre rivestito, per questo motivo, un ruolo strategico, con evidenti ricadute politiche.

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Sale cristallizzato sul fondo della salina di Torre Columena (l'antica salina dei monaci)

Numerosissimi erano infatti gli impieghi del sale. Oltre che come alimento, infatti, era innanzi tutto utilizzato per la salagione delle carni, dei prodotti della pesca e, soprattutto, per la preparazione dei prodotti lattiero-caseari, le cosiddette merci), tutte produzioni che solo mediante tale trattamento potevano essere conservate, consentendo in tal maniera l'approntamento di scorte alimentari a lungo termine, ovvero la loro commercializzazione a distanza.

Da un punto di vista industriale esso trovava invece largo impiego nella concia delle pelli e nel trattamento delle fibre tessili, ma rientrava persino nella preparazione di diversi medicamenti ad uso umano e veterinario.

Origine e tipologia delle saline

La sede elettiva della produzione del sale erano le saline naturali. Si trattava di paludi e ristagni idrici interni ma per lo più prossimi alla costa che, prosciugandosi nel corso dell’estate, lasciavano, depositato sul fondo, i sali precedentemente contenuti in soluzione nell'acqua. Il suburbio tarantino ospitava ampie aree caratterizzate da tale comportamento, come la Salina Grande, la Salina Piccola, le Terre Salse (corrispondenti a quella che in Età Moderna sarà denominata la Palude di San Brunone, attualmente occupata dalla zona industriale e dall'omonimo Cimitero); più verso occidente erano invece le saline del Lato, situate all'interno della lama della gravina di Castellaneta.

Un'altra tipologia di saline comprendeva quelle in posizione immediatamente retrodunale: alcune erano ristagni naturali, ma quelle sfruttate a livello industriale vedevano accresciuto il loro rifornimento di acqua salata in maniera artificiale, mediante il collegamento con il mare , come accadeva nella salina di Torre Columena (o dei monaci); a questa tipologia dovevano probabilmente appartenere anche quelle poste lungo la riva del secondo seno del Mar Piccolo, in località Aere Vetere, corrispondenti all'attuale palude La Vela.

Altre saline erano create artificialmente, canalizzando acqua marina in vasche scavate a poca distanza dal mare. Diverse di queste strutture si trovavano in età medievale nella zona ad Occidente della città, subito fuori il ponte di Porta Napoli, onde la denominazione de capite pontis; Altre saline infine erano ricavate in conche scavate nel bancone roccioso del litorale ionico fra Leporano e Lizzano.

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Le due saline (piccola e grande) oggi. Situate all'interno di due depressioni ad Est della città, sin dall'antichità il loro legame con la sua popolazione fu inteso e continuativo. Nonostante le vicende storiche e le aggressioni della immemore modernità, donano ancora scorci di bellezza inusuale, specie nel corso della stagione delle piogge

Sale, politica ed economia

Molto poco sappiamo dello sfruttamento delle saline nell’antichità. Nel corso del tardo Impero, tuttavia, erano per lo più gestite da privati, ma il Fisco imperiale vi esigeva la corresponsione di un canone (vectigal).

L'unica notizia relativa alle saline tarantine ci viene trasmessa da Plinio il Vecchio, il quale mostra di conoscere molto bene la Salina grande, della quale loda l'ottima qualità (indicandolo come suavissimum)del sale prodotto.

Numerose sono invece le attestazioni relative al Medioevo, specie con la ripresa delle attività mercantili, a partire dal X secolo. Il monopolio della sua commercializzazione divenne un elemento di prestigio, indipendentemente dal fatto che il titolare dello sfruttamento ne fosse lo Stato, un ente ecclesiastico, un feudatario o una comunità. Per questo stesso motivo la commercializzazione internazionale del sale fu a lungo disputata fra le grandi potenze marinare dell’epoca, fra le quali si impose Venezia che, a partire dal XIII secolo, si assicurò la distribuzione del sale pugliese all'interno dei mercati europei.

La creazione di una salina può quindi essere iscritta nelle iniziative di razionalizzazione produttiva delle aree marginali, inserita nel più generale processo di evoluzione dei modi di produzione che caratterizza i primi secoli successivi al Mille. In questa opera si segnalarono in particolare i Benedettini, cui appartenevano le saline di Aere Vetere lungo il Mar Piccolo, e la salina de monachis di Torre Columena.

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La torre ed i depositi del sale nella salina di Torre Columena. Anticamente appartenuta ai monaci benedettini di San Lorenzo di Aversa (onde l'antica denominazione salina dei monaci), divenne in seguito demanio dell'Università di Casalnuovo, che, per ingraziarselo, nel 1463 la donò al nuovo re, Ferdinando d'Aragona. Fu l'unica salina attiva sino al 1812; successivi tentativi di riattivazione furono abortiti. Eì l'unica sopravvissuta alla politica delle bonifiche di fine Otto-Novecento.

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Talvolta le saline rientravano all'interno del cosiddetto demanio universale, aperto ai diritti consuetudinari della popolazione; fu questo il caso della più volte citata salina di Torre Columena, posseduta (ad iniziare da una data ignota) dalla Università di Casalnuovo(Manduria) sino ad epoca aragonese.

Con i Normanni e l'introduzione del feudalesimo le saline pervennero per lo più nelle mani dei baroni, divenendo uno dei simboli più prestigiosi del nuovo status signorile.

In ogni caso i proprietari delle saline, sia che fossero laici sia che fossero ecclesiastici, non gestivano direttamente l’attività estrattiva, ma la concedevano a persone (i salinarii) o società, in cambio della corresponsione di una quota del prodotto.

Il loro elevato valore economico ne faceva oggetto di compravendita o di prestigioso oggetto di donazione, che vedeva in genere favoriti, ancora una volta, gli enti ecclesiastici.

Le prime importanti limitazioni sorsero per i baroni e le comunità a partire dal 1231, quando Federico II, pur lasciando le saline agli antichi proprietari, promosse il commercio del sale a monopolio statale, facendone il cespite fiscale più redditizio.

Dopo i disordini coincidenti con il tardo domino angioino, gli Aragonesi revocarono in demanio tutti i diritti relativi alle saline. Con la riforma fiscale da essi introdotta nel XV secolo si previde inoltre la distribuzione di un tomolo di sale per ogni fuoco (cioè nucleo familiare) in cambio di 5 carlini di tassa focatica. Venne vietata la vendita di sale da parte dei privati, come pure la raccolta del sale dalle saline. La transizione fu particolarmente complessa laddove le comunità intessevano diuturni rapporti con le saline del proprio territorio, sulle quali esercitavano ancestrali diritti d'uso. Particolarmente travagliati furono, in particolare, i rapporti fra la città di Taranto (ed i suoi cittadini) e la Regia Corte, che intendeva limitare la fruizione del sale della Salina Grande: i secoli intercorrenti fra le costituzioni federiciane e la nuova legislazione aragonese sono contraddistinte dalla promulgazione di crescenti limitazioni ai danni dei cittadini tarantini: dopo una fase intermedia, in cui venne consentito di prelevare la sola quantità necessaria al consumo personale, si pervenne, come altrove, al divieto assoluto.

Le potenzialità economiche delle saline tarantine scemarono insieme ai crescenti divieti ed al venir meno dei diritti di uso consuetudinario, cui erano intimamente legate; il colpo di grazia fu tuttavia inferto dal decollo delle saline di Barletta, attualmente note come di Margherita di Savoia.

Per motivi più di natura fiscale decaddero invece le altre saline del circondario, con l’eccezione di quella di Torre Columena ed, in parte, quella di Castellaneta sul Lato, che insieme a quella di Barletta assicuravano i fabbisogni della regione.

Per tutta l'Età Moderna l’unica attività economicamente rilevante svolta nella Salina fu, sino alla bonifica intrapresa nella prima metà dell’800, il contrabbando, cui si dedicavano per lo più gli abitanti dei casali del circondario: tramite questa uomini e donne cercavano in qualche maniera di integrare i loro magri guadagni leciti. Soprattutto in periodi di carestia il fenomeno del contrabbando diveniva una sorta di valvola di sfogo.

Preoccupazione precipua fu quindi, da parte dello Stato, quella di vigilare per evitare tale pratica, che tuttavia non fu mai completamente eradicata. Ad evitare tentazioni (stante la testimonianza di Giovan Giovine) si mandavano dei buoi al pascolo a frangere le raccolte di sale. Anche la vita delle masserie che sorgevano intorno alla Salina fu condizionata dalla natura del terreno, per lo più salmastro (gli sciali).

Per lo più abbandonato al pascolo, durante la stagione d'oro della cotonicoltura, tuttavia, queste terre, dopo una intensa opera di bonifica individuale, si dimostrarono particolarmente idonee ad ospitare questa coltura.

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Le monumentali opere di bonifica nella Salina Grande di Taranto, il fiore all'occhiello dell'ingegneria idaulica borbonica; oggi purtroppo versano in uno stato di abbandono gravemente colpevole

L'Età delle bonifiche

Una nuova stagione per la storia delle saline si inaugurò nel corso dell'Ottocento, allorquando furono coinvolte dalle iniziative tendenti al m iglioramento delle condizioni igieniche delle popolazioni, decimate dall'imperversare della malaria: iniziava l'epopea delle bonifiche, intraprese con vario indirizzo e successo dai governi via via succedentisi sino alla metà del Novecento.

Una delle primissime iniziative pubbliche in tale direzione riguardò uno dei più ambiziosi progetti mai ideati, la bonifica della Salina Grande, a cui per primo pensò lo stesso Gioacchino Murat. Fu però solo nel biennio 1817-1819 che venne dato l'avvio alla bonifica delle due saline di Taranto, ma i lavori, fra abusi ed inadeguatezza progettistica, si prolungarono per decenni. I vari tentativi intrapresi al fine di valorizzare economicamente le terre ricavate dalla bonifica non giunse mai a pieno compimento, nonostante un impegno pubblico prolungatosi fino agli anni '50 del '900, quando venne costruita, con il concorso della Opera Nazionale Combattenti, la strada di penetrazione della Salina. Anche la bonifica della Palude di San Brunone fu intrapresa durante l'epoca borbonica, ma richiese diverse successive revisioni. La Salina di Torre Columena fu oggetto di intervento di bonifica per interramento nel corso degli anni '40 dell'Ottocento, ma nonostnte i vari tentativi, fu l'unica a sfuggire pressochè intatta alla grande stagione delle bonifiche..

Stato e prospettive attuali

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Le saline sopravvissute alle bonifiche ospitano oggi una ricca avifauna e godono del positivo mutamento culturale generale, per cui sono riconosciute dall'Unione Europea come Siti di interesse comunitario (SIC). In particolare godono di speciali norme di tutela le riserve naturali istituite dalla Regione Puglia alla Palude La Vela, lungo il seno interno del Mar Piccolo di Taranto, la salina dei monaci a Torre Colimena, insserita nella Riserva Naturale del Litorale Tarantino Orientale ed il Lago Salinella (Ginosa), che occupa l'antico letto del fiume Bradano, all'interno della Riserva Naturale Stornara.

Sia la Salina di San Brunone che la Salina Piccola sono state inglobate all'interno della città moderna e delle relative pertinenze di servizio. La Salina Grande vive tutt'ota i maggiori tensioni, essendo sfiorata dalla espansione edilizia della città e delle sue borgate.

In parte è interessata da attività agricole specializzate (vigneti, foraggere), in parte non ha mai avuto una vera e propria colonizzazione, per cui si è rinaturalizzata, il che rimanda alla urgenza della adozione di forme di tutela, stante che lo stato di abbandono favorisce la proliferazione delle discariche abusive; meritevoli di attenzione (ed anche ormai anche di restauri) sono soprattutto le monumentali opere murarie costruite nel corso delle bonifiche borboniche. Il loro stato è, infatti, a dir poco deprecabile, con cumuli di rifiuti riversati al loro interno e mancanza di manutenzione (adeguata) dei manufatti; non mancano, inoltre, i tentativi di coinvolgere la Salina in iniziative speculative. Tutto ciò rischia di compromettere irrimediabilmente una delle aree ove maggiore e più spessa è la coltre dei ricordi sedimentatasi con il tempo: la sua perdita corrisponderebbe alla perdita di un importante capitolo della storia della città jonica.

La situazione è invece nettamente migliore per quanto riguarda le antiche saline del Mar Piccolo (la Palude La Vela), la salina di Torre Columena e quella di Ginosa Marina (la Salinella), che pure fra mille problemi si giovano dei profondi mutamenti culturali in corso che, nell'arco di pochi decenni, ha radicalmente mutato la percezione di questi luoghi, che da sede di miasmi mefitici sono divenute le preziose zone umide, santuari della biodiversità, sede di importanti attività ricreative e formative.

In particolare la salvaguardia della palude La Vela e di Torre Columena è stata garantita dalla recente istituzione di altrettante riserna naturali regionali.

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