PAROLE CHIAVE: mmagini, rural landscape history, storia del paesaggio agrario, economia latifondistica, schiavitù, villaggi, casali, strade, Taranto, Puglia, Italia meridionale, masserie, edilizia rurale, commercio, olivo, vite, olio, vino, grano, allevamento
La forza della ricca agricoltura magnogreca, articolata in un sistema di strutture grandi, piccole e medie, mirabilmente interrelate fra di loro, andò rapidamente esaurendosi subito dopo la sconfitta annibalica.
Frammento di macina in pietra lavica, rinvenuto nelle campagne di Grottaglie (località Lonoce); simile rinvenimento viene generalmente messo in relazione con l'esistenza di una villarustica
Nonostante i ripetuti tentativi di rivitalizzare il territorio di Taranto mediante l'invio di diverse colonie, fra la fine dell'Età Repubblicana ed i primi secoli dell'Impero si definì la netta affermazione del latifundium .
Con questo termine si indicava un'entità strutturale ed organizzativa ben diversa rispetto alla accezione moderna della parola latifondo, correlato con una grande proprietà dedita in maniera estensiva al binomio cerealicolo-pastorale, centrato sul sistema della masseria.
Il latifundium antico era organizzato, invece, in un arcipelago di fundi sparsi su ambiti territoriali anche molto ampi, e mantenne inoltre, per lungo tempo, linee produttive indirizzate a produzioni di elevato valore mercantile (olio e vino in particolare).
L'esagerata crescita dimensionale dei singoli latifundia si rivelò un elemento di rigidità quindi, nel lungo periodo, di debolezza; la contraddizione esplose (fra II e III sec. d.C.) con la concorrenza di fattori come la crisi del mercato degli schiavi e la crescita delle produzioni agricole provinciali, molto meno costose di quelle italiche. La congiuntura negativa coinvolse tutta l'agricoltura italica e compreso il suo cuore nevralgico, la villa rustica.
La villa rustica, sempre inserita nel sistema dei latifundia, si sostituì, sia come sistema produttivo sia come insediativo, a quello della fattoria magnogreca, ma mantenne una trama molto meno fitta. Essa sorse in genere grazie all'intraprendenza dei grandi speculatori romani approdati in Taranto a seguito della seconda guerra punica, cui si affiancò anche la nuova borghesia municipale: insieme, si diedero ad occupare parti dell’ager publicus, approfittando della crisi ormai irreversibile della piccola e media proprietà, che finì per fagocitare.
I capisaldi della razionalità funzionale della villa erano gli alti costi d'investimento, la destinazione commerciale della produzione, la conduzione diretta ed il ricorso massiccio alla mano d'opera schiavile, che non escludeva, tuttavia, il ricorso a manodopera salariata stagionale.
L’indirizzo produttivo della villa era per lo più volto alla coltura intensiva della vite, dell’olivo o di altre colture legnose in piantagione, le cui produzioni (frutta, vino ed olio) erano destinate prevalentemente al mercato, nazionale ed internazionale.
L’agricoltura in piantagione ospitata nelle villae aveva nel Tarantino uno dei suoi punti di maggiore forza, grazie probabilmente all'eredità costituita dalla cultura agronomica magnogreca,come attestato dalla frequenti citazioni di cultivar di frutti indicate come tarentinae riportate nella letteratura latina coeva, anche non specializzata.
Resti di una villa rustica sono emersi a seguito dell'alluvione del 2003 nei pressi di Fontana Calzo (Palagiano)
Il modello di villa rustica impostosi nel Tarantino rimase a lungo una struttura eminentemente produttiva,ma nel corso dell’età imperiale compaiono al suo interno forme di architettura e di arredamento sempre più ricercate, con l'impiego di materiali pregiati e la presenza di spazi voluttuari, come impianti termali ed aule basilicali. Accanto alla pars rustica, che ospitava le strutture di stoccaggio (magazzini, silos, anfore) e di trasformazione (frantoi, palmenti, mulini), prese forma quindi una ben individuata pars urbana, destinata ad ospitare il dominus e le sue attività ricreative.
La villa di Saturo rappresenta per il Tarantino il prototipo di villa dotata di funzioni suntuarie
La villa rustica tardoantica ospitava anche maestranze dedite ad attività artigianali, supporto necessario alla conduzione della azienda, cioè fabbri, figuli, calzolai, tutte attività che avevano caratterizzato sino ad allora l’ambiente urbano; talvolta vennero sviluppate anche attività industriali vere e proprie, come quella metallurgica.
La dipendenza del sistema dell'agricoltura in piantagione dalla mano d'opera schiavile si rivelò un elemento di debolezza, allorquando le dimensioni dell'azienda raggiunsero dimensioni critiche ed il mercato degli schiavi entrò in crisi dopo la cessazione delle conquiste da parte di Roma.
A causa della crescente penuria di mano d'opera, ad iniziare dal I-II sec d. C., la gestione della villa, dapprima affidata alla cura di fidati liberti, passò verso forme indirette. Alla locazione fece seguito la colonia parziaria, che prevedeva la compartecipazione del proprietario e del conduttore ad una quota della produzione. Non sempre, tuttavia, il mutamento di management riuscì ad attutire la crisi, che si tradusse in uno stillicidio di abbandoni protrattosi per i secoli II-III d.C..
Alcuni rinvenimenti nel sito pressoché inedito di Fornovecchio (San Giorgio Jonico), ove si rinvengono tracce di una struttura (fattoria?) magnogreca con annessa necropoli e di una villa rustica con apparente (il sito è inedito) continuità sino al V secolo d.C., come dimostrato dal ricco materiale vascolare reperibile in loco
In età tardoantica il sistema delle villae torna nuovamente in auge; alcune, a suo tempo abbandonate vengono ricostruite, altre sono edificate ex novo. La rivitalizzazione si deve, molto probabilmente, all'impianto di coloni in seno all’azienda.
Il ruolo della villa all'interno del sistema economico tardoantico appare tuttavia radicalmente modificato, passando da quello di struttura produttiva ad uno, ben più complesso, di centro amministrativo e direzionale di latifundia sempre più vasti, al cui interno si fa strada una miriade di vici e di pagi.
In un contesto economico sociale di disgregazione progressiva, il ricco e potente latifondista manifestava infatti una chiara propensione ad abbandonare l' abituale residenza cittadina in favore di quella rurale, da dove continuava a perseguire la propria politica personale. Ciò comportò ovvie ristrutturazioni edilizie a carico della villa. Sorsero così edifici sontuosi, ma soprattutto vennero poste le basi della signoria agraria.
La villa tardoantica definì così, nell'architettura, nella presenza di attività tipicamente urbane e nell'assunzione del ruolo di reale arbitro territoriale della politica, un vero e proprio contraltare rispetto al disfacimento della vita municipale.
(A sinistra) Il cortile di Masseria Lupoli, al centro di un latifundium appartenuto ad uno dei personaggi più sinistri della Roma neroniana, Calvia Crispinilla, magistra libidinum alla corte imperiale. Lo attestano diverse lapidi appartenute a servi pastores. (A destra) Masseria Bagnolo, che nella denominazione toponomastica richiama alla mente la presenza di una qualche villa dotata di impianto termale.
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