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IL GRAND TOUR DELLA TERRA DELLE GRAVINE

PAROLE CHIAVE: immagini, rural landscape history, storia del paesaggio agrario, Taranto, Puglia, Italia meridionale, associazione culturale, gravine




XIII GRAND TOUR DELLA TERRA DELLE GRAVINE:
NOSTRA SIGNORA DEI MESSAPI

La XIII edizione del Grand Tour della Terra delle Gravine è un'edizione cross-over in quanto interconnette molteplici suggestioni nel corso del tempo via via cumulatesi nella nostra esperienza. Le completa e conferisce un senso più compiuto. In poche parole completa un progetto già intrapreso (la conoscenza di santuari e chiese rurali dedicati al culto mariano) prestando nel contempo attenzione a strade e campagne situate in un comprensorio territoriale sino ad ora trascurato, ripercorrendone la peculiare e feconda stagione storica che l'ha interessato, la Messapia.

Primo giorno: da Fragagnano a Manduria

GrandTour2019-Bagnolo (34K)
L'abbazia di Santa Maria di Bagnolo (Manduria)

Ci avviamo lungo un percorso ciclabile e pedonale disegnato alcuni anni fa per connettere alcuni punti di interesse a cavallo dei territori di Fragagnano e Lizzano. Ben indicato da adeguate indicazioni. Entriamo in un'area di cava antica seguendo un tragitto segnato da staccionate di legno. Suggestivo il contesto. Troviamo una indicazione: CHIESA RUPESTRE. Prima pecca. Perché non si studia come si deve, prima di dare indicazioni che hanno la presunzione di in-formare? Quella che ci troviamo di fronte non è altro, infatti, che una bella cappella in stile vagamente neogotico, una delle tante che si trovano a corredo delle nostre masserie. Il redattore del piano si sarà chiesto il significato della parola RUPESTRE? E se non gli era chiaro il concetto, perché non si è rivolto a gente più informata? Accanto alla cappella è una scalinata mediante la quale discendiamo in un bel trappeto ipogeo che conserva ancora, seppure smembrata, la macina, le allocazioni dei torchi ed un bel sistema di sciaie, nelle quali i particolari possessori riponevano le olive in attesa del proprio turno della molitura. Nessuna indicazione, nella segnaletica apposta, al nome del luogo, pure ben indicato nella tavoletta IGM del 1948: MASSERIA MACCHIA.

Raggiungiamo la condotta dell'AQP che attraversa tutto il Salento per terminare a Santa Maria di Leuca, candidata a divenire una delle ciclovie più lunghe d'Europa. Ne seguiamo il percorso per alcuni Km. Come mi aspettavo è poco meno che una discarica a cielo aperto in cui è stato riversato di tutto: amianto, elettrodomestici, rifiuti di giardino, rifiuti comuni, inerti. Tanti inerti. Riprendi, riprendi! Segnaliamo la presenza di questo amianto! Facciamo le denunce! Mi dicono i miei compagni di cammino, mentre mi esibisco in equilibrismi i più improbabili per preservare e rappresentare degnamente l'intatto valore paesaggistico di questo angolo di territorio. Non merita di passare per mero immondezzaio. Segue un animato dibattito a più voci che periodicamente, purtroppo data la ricorrenza della circostanza, riproporrà il senso e la finalità ultima della nostra azione. CONOSCENZA E TESTIMONIANZA, viene detto, ed in effetti proprio per perseguire tal fine, tutto sommato, che mi sono imbarcato in una edizione molto rischiosa. Perché allora mi rifiuto di dare spazio all'altra faccia della nostra modernità, eternamente incompiuta? A mio parere ALLA BRUTTURA CI SI ASSUEFA, NON CI SI FA PIU' CASO, ALLA LUNGA: E' UN MECCANISMO CULTURALMENTE SELEZIONATO PER POTER SOPRAVVIVERE ANCHE IN CONDIZIONI AMBIENTALI NON FAVOREVOLI. IL BELLO INVECE NO. LA NATURA NON HA VOLUTO, PER NOSTRA FORTUNA E NOSTRO PIACERE, IDEARE UN ANALOGO MECCANISMO DI ASSEUEFAZIONE. E' PER QUESTO CHE OGNI COSA BELLA CONTINUA A "MARAVIGLIARCI". Resta comunque un interessante spunto di discussione.

Raggiungiamo la bella torre colombaia di Masseria Grava, ormai in territorio di Sava. E' del tipo "aragonese", cioè a pianta quadrata ed è molto antica, almeno cinquecentesca. Nei pressi è un'amplissima cisterna a doppia bocca di servizio per le pecore ed il bestiame che un tempo albergava nella bella masseria omonima, che però non riusciamo a visitare. Riusciamo a rintracciare la "grava": una voragine carsica sul cui fondo si accede mediante una comoda scalinata. Nel silenzio che vi domina si ascolta benissimo un nitido stillicidio. Il fondo è occupato da una foltissima colonia di bellissime felci dalle ampie foglie (Phyllitis scolopendrium).

Raggiungiamo finalmente il Paretone che rappresentava l'antico confine delle pertinenze amministrative delle città di Taranto ed Oria. Non lo vediamo nel tratto meglio conservato: in parte anch'esso oggetto di riversamento di rifiuti, in parte coperto da macchia e lecceta, lo seguiamo risalendo lungo il Monte Megalastro camminando ai bordi di un oliveto insistente su un pressoché continuo bancone di roccia affiorante. Coltura eroica a tutti gli effetti.

Entriamo in un tratturo finalmente lindo e tortuoso che interrompe una vasta area coperta da macchia densa e spinosa nella quale risaltano il colore giallo zolfigno ed il profumo, altrettanto intensi, delle ginestre spinose. Passiamo per Masseria Tremola, in territorio di Torricella: un grosso insediamento produttivo oggi in misero abbandono in questo bosco spinoso ininterrotto. Così come la vedo oggi doveva trovarsi a metà Seicento allorché ne entrarono in possesso i Muscettola, feudatari -fra l'altro- di Torricella. Ben compresero questi le potenzialità del territorio ed in breve ne fecero il punto nevralgico di una precisa strategia aziendale che in breve vide sorgere tutt'intorno una vastissima selva di olivi. Mi avventuro in quegli spettri di passato glorioso e scendo all'interno di un vasto trappeto ipogeo, per lo più denudato del primitivo arredo.

Raggiungiamo la cappella della Santissima Trinità e la destiniamo per la nostra sosta. La parte ipogea, interamente imbiancata a calce, è spoglia e, non fosse per un altare moderno, non conserva forme architettoniche che possano richiamare una funzione ecclesiale. Si tratta probabilmente di una tomba a camera antica riutilizzata. Al di sopra è invece una moderna cappella. Sparsi tutt'intorno i segni di una persistente devozione popolare.

Entriamo in una vasta area di cava ormai in disuso e diffusamente rinaturalizzata. Non è antica, a giudicare almeno dalla tipologia dei tagli che si osservano sulle parteti rocciose, dovrebbe risalire agli anni '50-'60. L'attraversiamo seguendo un comodo e delizioso sentiero che ci immette in una serie di tratturi rettilinei frutto della disgregazione del sistema delle masserie. In consuntivo mi sento di indicare il tratto compreso fra Masseria Tremola e l'uscita dalla cava come il più bello e suggestivo di questa intera edizione di Grand Tour.

Attraversiamo prima oliveti, quindi vigneti a spalliera e raggiungiamo finalmente l'abbazia di Santa Maria di Bagnolo. Quando vi giunsi la mia prima volta era in abbandono, vandalizzata. L'annessa segnaletica sistemata di recente nel corso di una parziale ed incompiuta sistemazione del sito fa riferimento naturalmente ad onnipresenti TEMPLARI che ne avrebbero detenuto il possesso. I fatti veri, quelli cioè emergenti dallo studio (faticoso, tedioso, per lo più frustrante!) dei documenti, parlano invece del feudo di Bagnolo che rientrava fra le dipendenze di una gloriosa abbazia (probabilmente di rito italo-greco) che sorgeva sull'isola piccola (attuale San Paolo) di Taranto e che poi si trasferì lungo il Mar Piccolo, nel sito ove sarebbe sorta la masseria di San Pietro di Mutata (attuale Histò).

Proseguiamo verso Uggiano Montefusco transitando accanto a belle casine di villeggiatura della borghesia agraria manduriana, spesso corredate da eleganti giardini con pergole.

Per raggiungere Manduria percorriamo in bel percorso ciclabile creato appositamente lungo la strada provinciale, andando incontro a numerosi corridori-passeggiatori locali. Raggiungiamo la villa centrale della capitale del Primitivo, incuriositi dal pittoresco calvario fatto con innumerevoli cocci e conchiglie, per poi raggiungere il ostro albergo. Nome esotico, MORGAN, sistemazione decorosa, cena e colazione non più che discrete. Prezzi da quasi realizzo.

Secondo giorno: da Manduria a Oria

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La chiesa di Santa Maria di Gallano (Oria)

Percorriamo il lucido lastricato vulcanico che copre le strade dell'elegante centro di Manduria, poi il viale della stazione bordato da eleganti ville liberty; raggiungiamo così il vasto complesso conventuale dei frati cappuccini, oggi dedicato a Sant'Antonio, eretto nelle forme attuali ai primi del Novecento in stile gotico-veneziano, molto in voga all'epoca. Che peccato che una tanto grande struttura non mostri il minimo segnale di vitalità. Diamo una sbirciatina al parco archeologico, a tratti a stento distinguibile nel groviglio delle erbe infestanti.

Superiamo la circovallazione e ci addentriamo nella sterminata periferia manduriana, fatta di case sparse che rende poco distinguibile la fine della città e l'inizio della campagna. Superiamo con un cavalcavia una mastodontica incompiuta: la fantomatica superstrada bradanico-salentina: nata per velocizzare e razionalizzare la percorribilità del versante ionico della nostra regione, giace attualmente in misero stato di abbandono, percorsa (abusivamente, riteniamo) da soli mezzi agricoli. Pressoché nascosta dalla sua mole è la Specchia d'Oria, un enorme cumulo di pietre antiche e di rifiuti moderni sulle quali un fitto intreccio di lecci stende un molto pietoso velo.

Ci immettiamo finalmente lungo la bella Via Vecchia per Oria: un lungo serpentone sterrato che con mille e difficilmente comprensibili sinuosità percorre il perfetto piano interposto fra le due città. Ai lati due sterminate distese di grano percorse da onde sospinte da una brezza finalmente non più satura di umidità. Il cielo è finalmente terso, sarà la giornata più calda. Lungo la strada incontriamo diverse cappelle votive (lungo la stessa via si muovevano anche i pellegrini diretti al santuario dei Santi Medici, che praticamente sfioriamo) ed un lemite confinario che reca segnate le iniziali dei due centri confinanti: M (per Manduria) e O (per Oria). Ne incontreremo diversi, nel corso del nostro cammino, denotanti altre confinazioni. Giungiamo sul bordo di un enigmatico fossato che, scavato nel bancone tufaceo, percorre la pianura interposta fra i due centri abitati per diversi chilometri in senso Est-Ovest con andamento leggermente curvilineo: ampio 4-5 metri, profondo poco più di un metro circa, il fondo è per lo più interrato ed è a tratti sgombro e percorribile, a tratti occupato invece da macchia fitta ed impenetrabile, a tratti ancora coltivata ad oliveto; lungo i fianchi rinveniamo anche qualche grotta scavata. Lasciamo allora il percorso della vecchia strada per Oria e risaliamo verso Ovest bordeggiando il fossato, dapprima su una comoda carrareccia che probabilmente era di servizio alla vasta area di cava che si apre subito a Sud; quindi lo superiamo e proseguiamo tenendoci al limite di una vasta area a macchia-gariga.

Aggiriamo Masseria Case Nuove, fermandoci ad ammirare un piccolo gregge di pecore che pascola beata in un recinto adiacenti all'ampio fabbricato ottocentesco. Ci immettiamo quindi in un lungo rettilineo coperto da erba che interrompe frapponendosi due vaste distese di grano. Quando siamo in vista dell'ampio caseggiato di Masseria Salinelle facciamo una deviazione per far visita alla chiesa della Madonna della Scala, che però troviamo chiusa. Prendere eventualmente appuntamento per farci trovare aperti monumenti come questo è purtroppo intento complicato da realizzare nel corso di un Grand Tour dai tempi di percorrenza non sempre prevedibili e nell'impossibilità, quindi, di fornire orari puntuali. Ci accontentiamo di una foto ricordo.

Facciamo visita alla splendida Masseria Salinelle: una duplice torre quadrata cinquecentesca proseguita da eleganti caseggiati e balconate con gentili colonnette, una cappella. Il tutto versa purtroppo in deprecabile stato di abbandono e diffusamente vandalizzato. Un vero peccato ed un vergognoso spreco di risorse culturali ed architettoniche!

Raggiungiamo la periferia Sud di Oria ma invece di tirare dritto ci impegniamo in un'ampia manovra di aggiramento da Nord-Est: la strada diretta non è consona con l'idea di Grand Tour, come pure con qualsivoglia compiuta conoscenza. Il paesaggio è cambiato all'improvviso: le sterminate distese di grano punteggiate qui e là da grandi masserie si sono dileguate, percorriamo invece stradine e sterrati che segnano una vasta scacchiera di piccoli e medi poderi intensivamente coltivati ad oliveto. Alberi di olivo altissimi, molto più alti dei nostri, che si ergono sul terreno con curiosi tronchi di forma conica prolungantisi in alto con svettanti branche, in basso con possenti radici che, nei tratti con poco terreno superficiale, si prolungano come tortuosi serpenti laocoontici a caccia di terra, ora affondandosi per riemergere ancora a diversi metri di distanza. Numerosi trulli, lamie, casine e qualche masseria, fra cui Masseria Santoro dall'elegante prospetto neoclassico; la eleggiamo a sosta quotidiana. Proseguiamo contornati da uno scenario simile per diversi chilometri sino a superare la strada provinciale Oria-Latiano. Siamo ormai vicini al luogo che ci ha condotto sin qui su, ma ancora lontani dalla nostra meta quotidiana. Incontriamo un'interessante chiesetta rurale dedicata a San Cosimo; all'interno, sull'altare, una immagine che ricorda tutti e cinque i fratelli santi martiri: oltre ai due più noti, anche Leonzio, Antimo ed Euprepio. Poco oltre è la suggestiva chiesa di Santa Maria di Gallano, antichissima a giudicare dalla conformazione delle cupole in asse. Purtroppo la rinveniamo chiusa, ma quanto si vede è sufficiente a giustificare l'ampio aggiramento che abbiamo compiuto, a gratificarne la fatica.

Per raggiungere Oria ci incamminiamo lungo una stradina inserita all'interno della rete di percorsi ciclabili (anche se in condominio con le auto!) intelligentemente creata dalla amministrazione provinciale di Brindisi . Entrati in città facciamo una fugace visita al sito archeologico di Monte Papa Lucio.

Terzo giorno: da Oria a Ceglie Messapica

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La chiesa di Santa Maria della Grotta (Ceglie)

Usciamo da Oria diretti verso Nord-Ovest attraversando campagne intensamente coltivate e vissute, superiamo chiesette di campagna (il Crocefisso!), casine e masserie a bordo-strada, ma anche moderne ville e case residenziali; appena lasciata la periferia, molto rurale, di Oria, ci ritroviamo in quella di Francavilla. Subito oltre la vecchia statale Appia rasentiamo un moderno quartiere, quindi il Cimitero, immettendoci quindi lungo la strada provinciale per Ostuni.

Lasciamo finalmente le strade ufficiali per addentrarci nella campagna profonda, compiendo un largo giro attorno a Masseria Palmo. Ritorna il predominio dell'oliveto abitato da una varietà inverosimile di trulli e d'altri casolari rustici. Assistiamo ad un singolare momento formativo: una carovana costuita da un padre, un paio di cani ed un ragazzino che, cavalcando un grosso copertone di camion trascinato sul terreno, impara a guidare un cavallo.

La strada si fa man mano più impervia, in lieve, costante salita. Dapprima ancora asfaltata diviene poi sterrata, quindi tratturo bordeggiato da alberi della macchia. Poi, tanto attesa, compare la prima quercia: una colossale roverella che agita i teneri germogli appena verdeggianti al sole e che copre con le sue poderose branche la nostra strada. Le sue sorelle saranno le nostre compagne, ora assiepate a bordo della via a originare tratti a galleria, ora isolate a far da guardia in mezzo ai prati multicolori ed ai seminativi distesi ai lati della strada. Anche la campagna si movimenta, ora elevandosi in deliziosi poggi, ora profondandosi in canali e gravinette fittamente boscate. Sarebbe una vera estasi dei sensi, se non fosse che anche questa Arcadia deve subire l'insulto di cumuli di rifiuti e di resti di chissà quali porcherie date alle fiamme. Superata masseria la Difesa la campagna torna ad addolcirsi, diviene più ariosa. Siamo già in territorio di Ceglie, come rivelatoci dall'aver appena superato un cippo confinario a bordo strada recanti le scritte CM (Ceglie Messapica) e FV (Francavilla).

Raggiungiamo finalmente la chiesa della Madonna della Grotta. L'accesso al viottolo è sbarrato ma facilmente accessibile: sia la chiesa, infatti, sia l'adiacente masseria, sono di proprietà privata.

Proseguiamo lungo la strada che un tempo univa direttamente la chiesa con il centro abitato di Ceglie. La campagna intorno sa d'incanto: seminativi e foraggere racchiusi in campi dalle geometrie spesso impossibili, le loro molli ondulazioni presidiate da colossali roverelle isolate. Su tutto la tersa luce del sole fa capolino non appena riesce a liberarsi dell'ingombro delle nubi, sempre più sottili, sempre più minute.

L'antica strada si interrompe in due punti, assorbita dai campi contermini. Vorrei però rimanere sul tracciato originario, ci avventuriamo quindi in un tratturo dapprima arioso, poi stretto in un bel boschetto che poi si fa serrato, impossibile da attraversare. Debordiamo nel campo adiacente, sino a ricongiungerci col tratturo. Ci concediamo una pausa, recuperando la quasi fuga dalla Madonna della Grotta. Proseguiamo poi lungo il percorso ma non riesco ad individuare il secondo tratto "nascosto", proseguiamo quindi su una stradina parallela, in una campagna che assume già la fisionomia della periferia. Raggiungiamo così la strada provinciale per San Vito dei Normanni, trovandoci giusto in faccia alla Fondazione San Raffaele, nota e prestigiosa struttura di riabilitazione.

Quarto giorno: da Ceglie Messapica a Grottaglie

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La chiesa di Santa Maria dei Grani (Francavilla Fontana)

Lasciamo il centro di Ceglie e ci immergiamo nella sua periferia che si prolunga insensibilmente con la campagna circostante. La Murgia è sì un altopiano, ma non è proprio una piatta pianura, per cui nella prima parte del percorso ci impegniamo in una lunga serie di saliscendi lungo dolci pendii e spaziosi avvallamenti che si frammezzano a piccoli poderi spesso trasformati negli ultimi decenni in residenze periurbane. Poi il paesaggio si allarga, le strade diritte che segnano la campagna moderna, la rivincita del contadino sul signore, diventano tortuose, richiamano percorsi e storie più antiche, si cingono di muri a secco sui quali la vitalità della natura-prima-dell'uomo cerca di prendersi la sua rivincita: ricacciata dai campi adiacenti, occupati da foraggere e da spighe di grano, si arrocca su quei baluardi, ora elevandosi in forma di querce e di arbusti di macchia, ora arrampicandosi in sembianze di salsapariglie e di edere, oppure dirompe nelle fantasmagoriche e affollate fioriture che sfilando ai loro piedi, ai bordi del nostro cammino. La luce limpida rende nitidi i colori, irride la capacità vivificante del contrasto digitale.

Quando giungiamo in faccia a Masseria Facciasquata attraversiamo la strada provinciale Ceglie-Villa Castelli e siamo restituiti in quel paesaggio di periferia periurbana che, come un cordone ombelicale, collega le due cittadine, quindi rientriamo nel dominio dell'oliveto, sempre custode di mille sorprese e meraviglie pronte a mostrarsi allo sguardo del camminatore. Superiamo Masseria Puledri e l'ingresso ad una cava di inerti. Ci attende un delizioso tratturo che compone il motivo forse più bello della giornata: la strada prosegue infatti tenendosi in posizione elevata rispetto ad una sottostante lama dai fianchi terrazzati, popolati da isolati trulli. Molto belli e dotati di una molto spaziosa visuale, ma la loro silenziosa solitudine sa troppo spesso d'abbandono. Chi mai potrà salvarli, così defilati dalle strade principali, in terreni così difficili, così poco appetibili? Transitiamo dinnanzi alle colonne che introducono ai terreni di Masseria Bottari, dove, nel corso della prima edizione del Piccolo Tour, ci rifugiammo essendo stati sorpresi dalla pioggia. Il lungo rettilineo che segue è occupato da una serie di ampie pozzanghere che ci costringe ad audaci equilibrismi, mentre nei terreni oltre i muri a secco fanno la loro comparsa enormi torri eoliche che ci accompagneranno per un bel tratto, dando modo al nostro Nico di ben informarci sul loro funzionamento. Le pale girano quasi pigramente, mosse da quella che è poco più d'una brezza, levando un sommesso ronzio che aleggia tutt'intorno: un basso continuo nel multisonoro chiacchiericcio dei camminatori.

Giungiamo a Masseria Sciaiani grande, la sua bella forma a torre ci invita. Lasciamo momentaneamente la strada per farle visita. A dispetto del nome ha avuto una sorte poco benevola rispetto alla sorella (o figlia) minore: Sciaiani piccola è, infatti, una celebrata struttura bio-agrituristica.

Iniziamo a scendere significativamente di quota, dinnanzi a noi si apre man mano uno scenario che, grazie all'aria tersa, ha il sentore dell'immensità. La strada prosegue con molli ondeggiamenti fra selve di olivi che, prive della protezione dei muretti a secco, giungono sino a bordo strada, offrendoci un ultimo scorcio di meraviglia: un deciso pugno stretto che sembra scolpito, con millimetrica precisione, sul tronco di uno di essi. Lasciamo la strada intenzionati a raggiungerne un'altra che discende parallela. Attraversiamo un oliveto e, con qualche difficoltà iniziale, ci immettiamo su una strada di servizio dell'AQP che ci consente agevolmente di raggiungerla. Nel discenderla intravediamo la singolare silhouette di Masseria Spadone, segnata da un colonnato che mi richiama (suggestioni di Grand Tour!) il nostro arrivo alla Tavole Palatine di Metaponto. Lasciamo ancora una volta la strada e compiamo un giro di ricognizione intorno all'ampio fabbricato della masseria, nel quale campeggiano questi colonnati situati molto singolarmente in alto, uno dei quali occupata l'intero frontespizio orientale; visti da vicino, denotano far parte di una sorta di peripato con pergola a corredo di qualche giardino pensile, che tuttavia non riusciamo a scorgere. Unico nel suo genere, a mia conoscenza. E decisamente elegante.

Approdiamo finalmente sulla strada che un tempo collegava Mottola con Francavilla e ci fermiamo dinnanzi alla suggestiva chiesa della Madonna dei Grani. Poco oltre ci imbattiamo nelle sorgenti del Canale Reale, indicate come Fonte di Strabone (il geografo greco di età romana che accennava alla maggiore fertilità dell'ager brundisinus rispetto al tarentinus proprio grazie alla maggiore ricchezza di acqua).

Superiamo la nuova strada Statale Appia per il tramite di un sottopasso e giungiamo sulla vecchia strada che collegava Grottaglie con Francavilla e la percorriamo verso Est, la nostra meta finale. La campagna, in perfetta pianura, è ora dominio di vasti vigneti da vino , anche giovani impianti, e di distese di grano.

Procediamo placidamente, come un fiume ormai prossimo al suo incontro col mare. Tutti sono felici del buon esito di questo Cammino. Tutti tranne me. In finale mi attende, infatti, una prova. Un'ardua prova. Nel disegnare il percorso ho voluto infatti raggiungere un luogo a me molto caro: Masseria San Barbato, cosiddetta per essere appartenuta all'omonimo monastero femminile di Oria. Qui trascorsi un'estate intera della mia fanciullezza; qui mi piace pensare di essere nato per la seconda volta. Da allora l'odore della mentuccia non esala solo l'aspro della campagna che sopravvive all'arsura: ha il profumo di quella estate. Della nostalgia: il nonno, le uscite col pastore, la nascita degli agnelli, una terribile grandinata, il calcio nello stomaco lanciatomi dalla cavallina… e tanto altro. Avevo alcuni anni prima provato ad avvicinarmi a quella culla.,. Giunsi in auto, ma vederla all'improvviso, come assediata dalla ormai incombente periferia di Grottaglie, mi fermò. Ora però ho avuto tutto il tempo per prepararmi. La scruto da lontano: dapprima il lato dello jazzo (il belato degli agnelli, l'odore del letame…) , poi il fianco (allora mi sembra lunghissimo, ora non sono neppure 100 metri!), quindi finalmente la facciata principale. Sì: l'abitazione del massaro ha ora un avancorpo che non c'era, nell'ala di mio nonno una finestra occupa lo spazio ov'era una porta, ma riconosco tutto, ricordo tutto. Emozione immensa.

Proseguiamo lungo il Carraro delle Vacche, come i locali indicano un tratto di Tratturo Martinese, così detto, ritengo, dal fatto che un ricco possidente martinese (la famiglia Basile) lo utilizzava per condurre le proprie vacche nell'Arneo, ove possedeva una masseria (Rescio, in territorio di Avetrana). Ora è assediato da un quartiere della ormai periferia di Grottaglie, sorta nel corso degli anni '70 ed '80.

Prima di entrare in città facciamo visita alla bella chiesa della Madonna di Pompei, quindi ci concediamo ad una passerella nel centro buono. Breve sosta per rifocillarci (questo è stato per me l'anno della cedrata, cui mi sono concesso al termine di ogni tappa), quindi l'ultima tirata per raggiungere l'antica piazza pubblica, che raggiungiamo non senza aver porto il nostro ossequio al sottarco della Madonna del Lume, teatro dell'esordio delle gesta del brigante Papa Ciro.

Ci siamo. Un gruppetto di amici ci attende. E' festa, ad ogni arrivo di Grand Tour, e questa volta non sarà diverso.

IL REPORTAGE FOTOGRAFICO DEL XIII GRAND TOUR DELLA TERRA DELLE GRAVINE

GrandTour2019-MasseriasanBarbato (30K)
Masseria San Barbato (Villa Castelli)